Produzione
Vendemmia
Dalla vigna alla cantina una storia che si ripete
La vendemmia è il momento cruciale, più importante ed atteso dai viticoltori del Conegliano Valdobbiadene. Si configura come un vero e proprio rito religioso, una liturgia: dapprima si effettuano le ultime ricognizioni tra le viti, scrutando il cielo e confidando nella clemenza del tempo; seguono gli accordi per la manodopera e l’allestimento delle forbici, dei secchi, delle botti, dei trattori e dei rimorchi; si attende infine il nulla osta del Consorzio di Tutela per dare inizio alla vendemmia rigorosamente “a mano”, nel momento ritenuto più opportuno per una vinificazione ideale delle uve che ne garantisca lo stile e ne preservi gli aromi.
La maturazione dell’uva è indicata dalla massima concentrazione zuccherina senza la diminuzione del peso delle bacche. Solitamente per la vendemmia dell’uva destinata agli spumanti ci si ferma prima di giungere a questa soglia, perché si cerca di mantenere un’acidità un po’ più elevata. In particolare, la quantità di acido malico nell’uva è indice di una maggiore o minore maturazione, in quanto esso tende a diminuire fino alla quasi completa degradazione; tutto ciò naturalmente da evitare in uno spumante in cui si voglia esaltare una buona acidità.
Altrettanto importante è il ruolo rivestito dal pH, che condiziona molti caratteri del vino (sapore, colore, ossidazione, stabilità delle proteine e dei metalli) e i processi enologici (stabilità biologica, fermentazione malolattica). Questo parametro dovrebbe aggirarsi attorno al valore di 3; diminuendo l’acidità nel corso della maturazione, esso tende a crescere.
Da ultimo, la sanità delle uve raccolte in casse è una condizione base per ottenere vini o mosti con caratteristiche di freschezza e finezza.
Vinificazione
Tradizione e tecnologia: un trait d’union per l’eccellenza
La vinificazione immediata delle uve è condizione essenziale per garantirne lo stile e preservarne l’aromaticità.
La produzione di vini base per spumante consiste nella spremitura con i torchi per ottenere i mosti fiore, ovvero la parte più fine, perché priva di sostanze grossolane, aggressive e astringenti, senza le particelle contenute nelle bucce e nei vinaccioli.
La spremitura dell’uva può avvenire in vari modi nelle presse orizzontali a membrana, dove la pressione sull’acino viene appunto svolta da una membrana che si gonfia dall’interno verso l’esterno, facendo così defluire il succo. La pressa può essere caricata con uva integra, ossia scaricata direttamente nella pressa per il tramite un chiusino, oppure pigiata o pigia-diraspata (eliminazione dei raspi) e mandata nella pressa tramite una pompa particolare in grado di spostare grandi quantità di parti solide e liquide.
Tutte queste presse, oggi dotate di un computer per il loro funzionamento, sono in grado di controllare ed ottimizzare la pressatura in funzione della consistenza dell’uva e dell’annata. L’enologo, quindi, annualmente potrà variare alcuni parametri per ottimizzare il processo di vinificazione.
Normalmente l’estrazione del succo avviene per gravità e si possono raccogliere le frazioni della pigiatura grazie ad un sistema automatico di controllo del tempo e della pressione esercitata sull’uva.
La prima frazione che sgronda è quella che contiene più zuccheri e acidi ed è la parte centrale dell’acino, mentre la seconda frazione, con meno zuccheri ed acidi, è la parte più interna ed esterna. La terza ed ultima frazione, detta anche torchiato, contiene più sostanze coloranti e più composti responsabili di gusti amari e astringenti, da non utilizzarsi pertanto nella produzione di spumanti.
Perché non si ossidi il succo che fuoriesce dalla pressa, si deve aggiungere una piccola quantità di solforosa, la quale permette al mosto di non imbrunire velocemente a contatto con l’aria. Va comunque precisato che oggi vi sono sistemi di pressatura in cui si giunge ad escludere quasi totalmente il contatto del mosto con l’aria durante la spremitura dell’acino grazie all’utilizzo di gas inerti.
Una soddisfacente tecnica di separazione delle parti solide dal liquido fa poi la differenza nei vini base spumanti: la freschezza, l’acidità e anche la buona beva si ottengono scrupolosamente nel separare le varie frazioni del pigiato.
Ottenuto dunque il mosto fiore, la parte fine e meno astringente, bisogna valutarne la consistenza, il colore e la velatura, per poi procedere alla decantazione statica e a freddo per illimpidirlo, allontanando le particelle più grossolane che restano in sospensione.
Si è ora di fronte ad un primo passaggio fondamentale, che segnerà le caratteristiche future dello spumante: se si vuole ottenere uno spumante tendenzialmente secco, si aggiungeranno lieviti naturali per agevolare la fermentazione del mosto limpido fino ad avere un vino fermo, praticamente secco, in cui gli zuccheri dell’uva si siano trasformati in alcool; se, al contrario, l’intento è quello di produrre uno spumante dolce, si devono preservare tutti gli zuccheri per la successiva presa di spuma, conservando il mosto fiore al freddo, intorno a 0°C, per impedire che fermenti.
La Partita o Cuvèe
La produzione di uno spumante di qualità richiede un’attenzione particolare e molta esperienza; ricercare l’equilibrio e l’armonia nei “vini base” è fondamentale e bisogna conoscerne bene l’evoluzione quando avranno prodotto lo spumante.
A differenza di un buon vino tradizionale, che trova le sue basi nell’unicità del terreno di una singola vigna, la qualità di uno spumante è data dall’unione di vini ottenuti da vigne diverse e spesso anche da varietà differenti.
L’enologo ricercherà, tra i vini che ha a disposizione in cantina, i caratteri che daranno profumi, acidità, corpo e sapore e quel certo grado di aroma che la fermentazione finale nei grandi tini fonderà in un prodotto fragrante ed etereo, ricco di finissima spuma.
Presa di spuma
La “presa di spuma” è la formazione naturale del gas carbonico che si discioglie nel vino e che genera il perlage: questo passaggio rappresenta la nascita vera e propria dello spumante.
Le bollicine naturali prodotte in questa fase sono soltanto la parte visivamente più evidente, ma in realtà sono tantissimi i composti che si generano: esteri, acetati, alcoli superiori, aminoacidi e aromi che conferiranno i caratteri dello spumante.
Tutto questo avviene in tini d’acciaio, grandi contenitori robusti e pressurizzati che vengono riempiti con il vino fermo e limpido delle cuvèe precedentemente preparate.
E’ noto che gli zuccheri contenuti in un mosto o in un vino, fermentando, si trasformano in alcool e anidride carbonica che generalmente si disperde nell’aria, ma, in questo caso, rimane intrappolata, disciolta nel vino, all’interno di questi contenitori.
Per permettere questo processo, è appunto necessario che il vino della cuvèe contenga degli zuccheri.
Nel caso manchino o siano insufficienti, si aggiungerà zucchero, preferibilmente di canna bianco e raffinato, in ragione della quantità di spuma che dovrà avere lo spumante.
La trasformazione degli zuccheri in alcool avviene grazie ai lieviti che svolgono un ruolo determinante per la qualità futura del prodotto finale; in particolare, per il Metodo Martinotti-Charmat, rilevano la finezza, la capacità di generare i profumi e il rispetto degli aromi originari dell’uva. Si sceglieranno quindi i lieviti le cui caratteristiche fermentative siano le migliori per il vino da ottenere.
Una volta innescata, la fermentazione avrà una durata differente, a seconda della quantità di zuccheri da trasformare e della temperatura alla quale avviene, che si cerca di mantenere tra i 15 e i 18°C. Ci vogliono normalmente dai 15 ai 25 giorni affinché si completi questo ciclo, ma lo spumante non è ancora finito. Alcuni tipi di Brut, infatti, restano per molto tempo nelle autoclavi a contatto con i lieviti secondo il metodo detto Charmat lungo, a volte per non meno di 6 mesi.
E’ al termine dell’affinamento sui lieviti che il Metodo Martinotti-Charmat manifesta la sua vera supremazia tecnologica nei confronti del Metodo Classico che, racchiuso in bottiglia, richiede un notevole lavoro per separare i lieviti dal vino limpido. Nel nostro caso, il tino pressurizzato viene raffreddato a 0°C; il gas si discioglie molto bene nel vino, che si stabilizza decantando sul fondo tutti i cristalli dell’acido tartarico, le impurità e i lieviti fino a compattarli, in modo che siano facilmente separati in breve tempo con una semplice filtrazione. Il vino così è reso brillante senza perdere neanche una preziosa bollicina.
L’imbottigliamento o Tiraggio
Il vino ora è pronto e ci si appresta a riempire le bottiglie con lo spumante finito. Un procedimento che, contrariamente a ciò che potrebbe sembrare, non si presenta affatto semplice, in quanto il gas carbonico tende a sfuggire colmando di schiuma ogni spazio, bottiglie incluse.
La moderna tecnologia garantisce comunque il riempimento senza far assorbire ossigeno al prodotto, grazie a macchine imbottigliatrici automatiche che ruotano su un asse come una giostra e che dapprima svuotano le bottiglie dall’aria, poi le riempiono di gas inerte (azoto) prima di colmarle con lo spumante. Immediatamente dopo vengono passate alla tappatrice che le chiude con un tappo a fungo e le sigilla con la gabbietta metallica.
Metodo Charmat
La nascita delle bollicine più ricercate del mondo
Lo spumante prodotto con il Metodo Martinotti-Charmat è frutto ed emblema del genio italiano.
Fu il piemontese Federico Martinotti a mettere a punto, nel 1895, il metodo di rifermentazione controllata in grandi recipienti, poi adottato dal francese Eugène Charmat che, intorno al 1910, ne costruì e brevettò le attrezzature e industrializzò il procedimento. Da qui il doppio nome, Martinotti-Charmat, del metodo caratterizzato da una seconda fermentazione del vino in grandi contenitori – di solito tini in acciaio pressurizzati – detti autoclavi. Questa è la differenza fondamentale rispetto al Metodo Classico, nel quale la fermentazione avviene nelle bottiglie di vetro.
Il cuore di questo sistema consiste nella possibilità di far durare la fermentazione e l’affinamento sui lieviti esattamente per il tempo desiderato e nelle condizioni migliori, andando ad esaltare le caratteristiche delle uve originarie e dello spumante finale; è, in sintesi, la supremazia del territorio sulla cantina.
Gli spumanti ottenuti con il Metodo Martinotti-Charmat, in primis il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore D.O.C.G., si caratterizzano per un’ampia versatilità e per una notevole aromaticità fruttata e freschezza.